L'"ONTOLOGIA DELLA MASCHERA"
e Il Don Giovanni di Mozart
"L'incontro tra il lavoro"Ontologia della maschera" dell'artista Franco Armieri e il mio Don Giovanni di Mozart si fonda sull’integrazione e sulla contaminazione di diversi territori di pensiero : Teatro, Arte, Filosofia, al fine di creare non un semplice spettacolo ma un evento culturale che riflette sulla figura e sul mito del “Dongiovanni” . Le concettualità emergenti dalla lettura drammaturgica dell’Opera ed il mio progetto in collaborazione con lo scenografo Mauro Tinti, si sono così intrecciate col lavoro di Armieri prendendo corpo, col contributo del filosofo Alessandro Negrini, in una riflessione artistico/filosofica che, con una "messa in scena" che ha travalicato i confini del palcoscenico estendendosi al foyer del teatro, ha fatto dello spettacolo il suo luogo di esposizione e di questo progetto una più ampia riflessione su quello che quest’Opera a tutt’oggi può significare." ( Francesco Esposito - Regista )

“ RI - VELAZIONE’” 3 - plastica termoformata, metalli, legno - Franco Armieri 2012


Teatro la Fortuna di Fano - Don Giovanni di W.A.Mozart - Foto di scena - 2013

"IDENTITA’ DELL’IDENTITA’ E DELLA NON IDENTITA"- Ferro- Franco Armieri 2012

Teatro la Fortuna di Fano - Don Giovanni di W.A.Mozart - Foto di scena - 2013

"HABITUS"- Ferro, Zinco, Ottone, Resina- Franco Armieri 2012

Teatro la Fortuna di Fano - Don Giovanni di W.A.Mozart - Foto di scena - 2013

"RATIO STRUMENTALIS - CAMEO 5"- Ferro, Zinco - Franco Armieri 2012

"RATIO STRUMENTALIS - ROSA"- Ferro, Ottone- Franco Armieri 2012

Teatro la Fortuna di Fano - Don Giovanni di W.A.Mozart - Foto di scena - 2013

"RATIO STRUMENTALIS - RITRATTO"- Ferro, Ottone- Franco Armieri 2012
Ontologia della maschera.
Alessandro Negrini e Franco Armieri
La maschera è un oggetto che intriga in modo sospetto il pensiero.
E’ un oggetto che richiama immediatamente un’ambivalenza relazionale che si manifesta già subito in base alla relazione spaziale: di fronte alla maschera io mi trovo come colui a cui viene nascosta la realtà e a cui viene inscenata una interpretazione. Dietro alla maschera sono io che occulto la mia identità e metto in scena altre possibilità di apparire.
In primo luogo dunque nella maschera vediamo la funzione di nascondimento, qualcosa che nasconde il volto, sostituendolo con un altro. La maschera è quindi innanzitutto nel suo valore velante, coprente e distorcente la realtà. La maschera mi annuncia che chi si mostra non intende mostrarsi per quel che è: mi immette nello stato di diffidenza e dà luogo a filtri contro interpretativi dell’interlocutore della maschera.
Ma la maschera ha anche un suo contenuto positivo, non è solo un coprire il volto, ma velando disvela e mette in atto la maschera in quanto persona, annuncia il mio personaggio, mi pone come individuo, mi consegna un “ruolo”. La maschera è un oggetto costruito non solo per nascondere, ma anche per dire qualcosa, per lasciar essere una possibilità.
La maschera, quindi, è un oggetto che nell'atto del suo essere indossata, attiva, vivente, esprime la struttura logica originaria di identità-alterità: nella misura in cui la maschera copre, essa rivela, ma in tanto che apre, occulta.
E’ il mascheramento dunque il modo d'essere dell'identità ?
L'identità è sempre cogenerativa alla non identità - L'identità dell'identità-e-della-non-identità, la relazione tra identità e non identità per potersi mostrare come identità deve celare la non identità attraverso la maschera - La maschera è la concretizzazione di questa struttura di relazione che per disvelare cela, e che nel celare disvela.
Dietro la maschera non vedo me stesso mascherato, se non specchiandomi. E’ lo specchiarmi dunque che mi consegna il ruolo della maschera? La maschera è una inter-faccia, un “volto” che si frappone tra la mia “identità” e l’altro ed in questo frapporsi trasforma l’identità di ciò che sono nell’identità di ciò che appaio. Per aderire alla maschera devo dunque osservarmi con gli occhi dell’altro, essere un’identità che vede il mascheramento di se stessa dal di fuori. Dunque è l’altro da me che mi consegna la maschera a cui aderire. E’ l’essere con altri, è l’essere sociale, l‘habitus, lo specchio che mi consegna il ruolo, la maschera invisibile della mia identità. E come potrei definirmi come identità se non aderendo ad una maschera? Come potrei costruire il significato che delimita la mia identità, il mio essere io e non altro, se non attraverso la maschera di me stesso?
Ma cosa succede quando la maschera si fonde al volto che vela? Quando la maschera diventa il volto e il volto diventa quella maschera ?
Quando la maschera si fonde al volto il “ruolo” si trasforma da possibilità dinamica ad identità statica. Il mascheramento nella sua duplice valenza del nascondere per poter mostrare si trasforma in prigione. Viene perduta la possibilità di esser sé ed altro da sé, la maschera diviene volto e il volto è solo come volto mascherato.
Ma anche l’altro da sé perde la sua dinamica diventando negazione dell’identità dell’altro, l’altro è ridotto ad appendice strumentale della propria maschera, della propria assolutizzazione d’identità. Persone e cose sono ridotte alla loro utilizzabilità, l’essere degli enti a strumenti ed il loro uso tecnica.
Per Don Giovanni, prigioniero della maschera che gli si fonde addosso, il dono di una rosa od un cameo diventano tecnica di seduzione, ripetizione di un gesto finalisticamente orientato, e le stesse donne sedotte diventano strumento di conferma della propria maschera, necessità esistenziale del proprio assolutizzato mascheramento identitario.
L’identità dell’essere è obliata nella “ratio strumentalis”.